Secondo appuntamento con il progetto promosso da Officine della Cultura, Chora srl, Assessorato alle Politiche Giovanili del Comune di Arezzo, in collaborazione con Informagiovani Arezzo e il portale Arezzoora.it, legato alla rassegna del mercoledì sera “Scusate il ritardo” presso il Cinema Eden di Arezzo.
A seguito della proiezione del film LE MERAVIGLIE, regia di Alice Rohrwacher, di mercoledì 25 febbraio siamo lieti di segnalare ben due pubblicazioni ritenute meritevoli dalla nostra giuria di esperti. Le autrici, Elena Colzi e Camilla Bianchi, si aggiudicano un ingresso omaggio per uno dei prossimi film della rassegna. Complimenti!

Prosegue l’invito per i giovani al di sotto dei 35 anni, a seguito della visione dei film della rassegna, a scrivere la propria recensione inviandola entro le ore 18 del venerdì successivo all’indirizzo ufficiostampa@officinedellacultura.org – a cui poter scrivere anche per eventuali chiarimenti a dubbi e domande.
Ulteriori informazioni presso Officine della Cultura (via Trasimeno, 16 – Tel. 0575/27961) o direttamente al Cinema Eden.

  • Recensione n. 1 – di Elena Colzi

“Le Meraviglie” narra di un tentativo di opporsi all’inesorabile trascorrere del tempo, un tentativo impossibile, poiché se ci si può impegnare a difendersi dal progresso esterno, allo stesso modo non si può impedire ad un nucleo di relazioni significative come quelle familiari di evolvere e di crescere. È il tempo “interno” che pretende il cambiamento e presto se ne accorgeranno tutti i protagonisti.
Le forze opposte di protezione e al tempo stesso di sviluppo sono incarnate dalla figura centrale di Gelsomina, alle prese con un’adolescenza che modificherà a catena le vite di tutti i componenti di questa famiglia apparentemente “fuori dal tempo”.
I personaggi tratteggiati nel film sono ruvidi, ma al tempo stesso evocano nello spettatore sentimenti di tenerezza e calore.
“Ci sono cose che non si possono comprare”: questa è la frase che, in maniera semplice, con un filo di voce, esprime il padre Wolfgang al microfono della trasmissione televisiva grottesca e surreale che è piombata nella vita di questa famiglia attraverso la spinta evolutiva di curiosità verso il mondo della primogenita Gelsomina.
In quella frase c’è tutta la tenacia di chi ha combattuto con il tempo che passa, con il cambiamento che sta alle porte del piccolo mondo rurale in cui si è trincerata questa famiglia, ma c’è anche l’apertura verso quel mondo che tanto attrae i figli in crescita: Wolfgang, come portavoce della famiglia parla, infatti, ad un microfono del valore principale su cui si fonda la loro vita.
Il mondo sembra non ascoltare quelle parole, ma il sistema familiare le sente profondamente, tanto che in quel momento si pongono le basi per lo svincolo emotivo di Gelsomina.
Da quel momento in poi Gelsomina supera lo scontro generazionale con il padre e può permettersi di muoversi sia verso una relazione affettiva esterna (Martin) sia verso l’esporre se stessa al mondo fuori dalla famiglia.
La parabola del personaggio di Gelsomina è il paradigma della transizione dell’adolescenza, che è lo stesso indipendentemente dallo spazio-tempo nel quale ci troviamo: per iniziare a sentirsi separati e a camminare da soli è necessario prima scontrarsi con gli ideali che provengono da coloro che ci hanno protetto fino a quel momento, e in seguito, dopo aver lottato, ci si può riconciliare con quei valori per sentire di appartenere ad una storia, pur sentendoci in grado di inserire elementi di novità.

  • Recensione n. 2 – di Camilla Bianchi

È il trionfo della campagna, della vita agreste e bucolica, con tutte le fatiche e le asprezze della quotidianità, c’è il duro lavoro della smielatura e le asperità dei cambiamenti climatici.
Ma soprattutto è il trionfo dell’adolescenza e del legame tra sorelle, racchiuse in un microcosmo familiare dominato da un padre-padrone e da una madre dolcissima.
Bellissima la figura della sorella maggiore, a tratti struggente, che assume il ruolo di capo famiglia, attratta da mondi diversi e da un amore, che ha il sapore della devianza, mai sbocciato.
Il film tratta di legami familiari molto forti, da cui Gelsomina non riesce del tutto a staccarsi e di un’età dolorosa e difficile che la ragazza sta attraversando. Il senso del dovere è la sua forza e insieme il suo limite, perché la imprigiona in un ruolo pre-definito da cui non sa liberarsi.
Le belle immagini, che ritraggono il mestiere di apicoltore, che imprigiona le api nelle arnie e poi estrae il miele, rendono l’idea di un mondo ormai passato (circa gli anni ’90) e di una campagna che man mano sarà contaminata dai moderni pesticidi.
La secondogenita, allegra e scanzonata, contagia con la sua felicità l’intero clan e vive con leggerezza i suoi difetti fisici e la sua pigrizia, anche se commuove con il suo incidente alla mano e mette in luce tutte le insicurezze del loro lavoro.
E poi questa madre, infelice e a tratti vittima, non sa rinunciare alla sua vita di sposa e offre deliziosi ritratti di bagni in mare insieme alle figlie; comunica con i suoi silenzi e i suoi enormi occhi azzurri tutte le preoccupazioni per il loro futuro.
Una figura maschile irrompe in questo clan femminile: un ragazzo introverso e problematico, in terapia di rieducazione con un passato difficile, ben accolto dalle sorelle, che instaura un legame ambiguo con Gelsomina.
Il finale incompiuto del film, aperto a più letture, sottolinea l’impossibilità e soprattutto la difficoltà a separarsi dalle proprie radici e a cambiare la traiettoria del proprio destino.
Lo show televisivo delle meraviglie era stata solo un’utopia per la figlia maggiore, rende idea di uno slancio utopico di ideale incompiuto. Il suo mondo è la cascina di famiglia, nel grande letto insieme alle sorelle e ai genitori, sotto un cielo stellato che le fa da sfondo, immagine “alternativa” con cui termina il film.
Alba Rorwacher, in qualità di madre nel film, e la sorella Alice, regista, danno corpo a un film originale, alla ricerca dei buoni sentimenti e dell’infanzia perduta, che il padre vorrebbe preservare a tutti i costi.