Terzo appuntamento con “Scusate il ritardo… la recensione la scrivo io”, il progetto dedicato agli under 35 promosso da Officine della Cultura, Chora srl, Assessorato alle Politiche Giovanili del Comune di Arezzo, in collaborazione con Informagiovani Arezzo e il portale Arezzoora.it.

A seguito della proiezione del film MOMMY, regia di Xavier Dolan, di mercoledì 4 marzo, pubblichiamo la recensione inviata da Filippo Dell’Artino. L’autore si aggiudica un ingresso omaggio per uno dei prossimi film della rassegna “Scusate il ritardo”. Complimenti!

Prossimo appuntamento della rassegna IL GIOVANE FAVOLOSO di Mario Martone, giovedì 12 marzo alle ore 18:30 l’incontro con il regista e alle ore 21 la proiezione. Ulteriori informazioni: ufficiostampa@officinedellacultura.org.

Premessa: Mommy è un capolavoro. Poche volte nella vita infatti capita di uscire da una sala cinematografica e ritrovarsi stranamente senza parole per descrivere ciò che si è appena visto. In genere, ciò capita se il film è straordinariamente orrifico, o straordinariamente bello. Quest’ultimo è, appunto, il caso di Mommy, quinto lavoro del “regista ragazzino” canadese Xavier Dolan (25 anni), e la suddetta è stata la reazione di chi scrive dopo avervi (finalmente) potuto assistere. Solo un autentico capolavoro di perfezione artistica può infatti riuscire a farti provare in circa 140 minuti quasi ogni possibile emozione umana, dal riso, alla spensieratezza, financo alla commozione e all’angoscia, per sentire infine tornare la speranza. Solo adesso il sottoscritto comprende cosa volesse dire Stendhal nel descrivere quella “sindrome” che poi prese il suo nome: “Assorbito dalla contemplazione della sublime bellezza, avevo raggiunto il punto in cui si incontrano le sensazioni celestiali date dalle arti. Tutto parlava così vividamente alla mia anima. Avevo palpitazioni al cuore, la vita per me era come prosciugata, camminavo temendo di cadere”. E non si tratta di una sciocca esagerazione. Si soffre durante la visione del film, ognuno degli spettatori può sentire cambiare il proprio umore quando la sapiente regia di Dolan allarga, poi restringe, poi allarga di nuovo l’inquadratura, a sottolineare la positività (o negatività) del momento, come anche la condizione dei personaggi, prigionieri di una dimensione non adatta a loro e destinati quasi sempre ad uscire dai confini. Intrappolati nel formato più stretto del 4:3 (1:1 ad essere precisi), ci si sente soffocare e si sogna, assieme ai protagonisti, la libertà e la serenità del 16:9 (apparentemente irraggiungibile, ma che pure si palesa in un paio di occasioni, facendoci e facendo loro riprendere fiato). Questa è la storia di un difficilissimo rapporto familiare che, pur nella violenza che lo caratterizza, lascia pian piano emergere (senza troppe sottigliezze) il più genuino degli amori, incarnato in maniera formidabile dai tre protagonisti in stato di grazia (la superba Anne Dorval – già madre nel primo film di Dolan J’ai tué ma mére –, la sommessa ma emozionante Suzanne Clément, il talentuosissimo – addirittura più giovane di chi scrive… – Antoine-Olivier Pilon, del quale sentiremo ancora parlare). Il tutto condito da una semplice ma straordinaria colonna sonora, piuttosto variegata e decisamente pop, che va dagli Oasis, a Dido, a Céline Dion, agli Eiffel 65, fino ad Andrea Bocelli (“Vivo per lei” cantata al karaoke da Steve è senza dubbio uno dei momenti più emozionanti del film). Ci vuole coraggio a definire ancora Xavier Dolan “il regista ragazzino”, poiché con questo film dimostra una volta per tutte (non che avessimo dubbi) di essere davvero tra i più talentuosi e maturi cineasti viventi, tanto da oscurare altri colleghi, forse più noti e sicuramente più “maturi”, ma dal punto di vista anagrafico. Tornerò sempre a vedere i film di Xavier Dolan (lo ritroveremo nel 2016 col suo primo film in lingua inglese, The Death and Life of John F. Donovan), del cui genio non potrò mai essere sazio.

Frasi da ricordare: “Siamo in un mondo senza speranza, ma pieno di persone che sperano”. “Noi due ci amiamo ancora, vero?”. “Sì, è la cosa che sappiamo fare meglio…”